Elementi per la costruzione di realtà alternative. Il Barocco e le Avanguardie |
L’INVENZIONE DI MOREL
Ho riservato l’ultima sezione della mia tesi all’analisi
del libro che l’ha ispirata, La invención de Morel, scritto
nel 1940 da Adolfo Bioy Casares (1914-1998). È un testo che, contenendo
tutte le tematiche che ho affrontato finora mi permette di riassumerle
e quindi di tirare le somme della mia ricerca; inoltre, a mio avviso,
esso evidenzia come alcuni di questi aspetti si siano evoluti in prodotti
tipici dell’immaginario artistico e culturale collettivo dei nostri
giorni. Il testo rappresenta una sorta di ponte sospeso tra il passato
ed un futuro (che è già presente) e ciò, come osserva
T. Barrera, la curatrice dell’edizione che ho consultato, è
dovuto al fatto che Approfondendo i paradossi della scienza e della filosofia, infatti, Bioy
Casares è riuscito ad immaginare situazioni (letterarie, naturalmente)
e problematiche che avrebbero preso corpo appena una trentina di anni
più tardi, soprattutto nel campo della tecnologia, come per esempio
la questione dell’interazione tra l’uomo e la macchina o l’aspirazione
a creare attraverso le macchine delle nuove realtà, copie retiniche,
tridimensionali, manipolabili ed immutabili del mondo fenomenico, in cui
l’uomo possa calarsi a suo piacimento e senza pericolo.
Per raccontare questa fantastica storia l’Autore impiega l’antico
espediente del manoscritto ritrovato. Tale manoscritto sarebbe una sorta
di resoconto o diario che un naufrago ha deciso di tenere in seguito ad
inspiegabili episodi che si verificano nell’isola (non ben identificata)
su cui è approdato. Ciò che noi leggiamo è la trascrizione
fedele di questo resoconto, corredata con delle note di commento ed opinioni
personali dell’Editore sulle vicende occorse al naufrago (del quale
non sappiamo il nome).
Il lettore ricava notizie intorno al macchinario attraverso due fonti.
Una è diretta e consiste in un testo di promemoria scritto dallo
stesso Morel in occasione della riunione, “sottratto” di nascosto
dal Protagonista e ricopiato diligentemente sul resoconto. Attraverso
questo testo risaliamo alla genesi della macchina, alla sua composizione
basilare e al suo scopo. spaziali e temporali. Un telefono, cioè ci permette di ascoltare
la voce di una persona che si trova lontano da noi, un fotografia ci mostra
oggetti e persone che non stanno né in quel luogo né in
quel momento e che forse nemmeno esistono più. Il risultato è stupefacente e Morel avverte gli astanti: Col senno di poi lo stesso Protagonista, che aveva esclamato all’inizio
del racconto: si rende conto che ciò che ha di fronte sono immagini talmente
perfette che è naturale scambiarle con delle persone reali. E lo
stesso vale per gli animali dell’isola: La macchina è composta da tre parti: e il suo funzionamento è assicurato da un macchinario che sfrutta
l’energia prodotta dall’escursione delle maree, molto ampia
nell’isola. Le immagini inoltre coincidono quasi esattamente con l’ambiente
circostante: “quasi” perché, a differenza delle immagini
di Morel, la Natura muta, è soggetta a divenire. L’effetto
più eclatante di questo scarto è che per la maggior parte
del tempo nel cielo appaiono due soli e due lune (quelli veri e quelli
riprodotti dal macchinario): Inoltre il Protagonista scopre il segreto agghiacciante del funzionamento
del macchinario che Morel ha accennato ma non ha avuto coraggio di rivelare
apertamente durante la riunione. Tutti gli esseri viventi ripresi dalla
macchina subiscono un rapidissimo deterioramento dei tessuti e nel giro
di qualche ora (o di qualche settimana se sono esseri umani) muoiono:
I fogli scritti da Morel, oltre a contenere le indicazioni tecniche e
storiche sull’invenzione, riportano delle riflessioni personali
di natura filosofica esistenziale che sono molto importanti per comprendere
il principio su cui si fonda il macchinario. Morel è un inventore particolare; non è interessato ai
macchinari dal punto di vista dell’utilità pratica bensì
per il miglioramento spirituale che essi producono negli esseri umani
e per i piccoli passi che essi permettono di compiere all’umanità
in questa immaginaria scalata verso lo status di Dio: Le speculazioni filosofiche di Morel derivano dall’osservazione
dei risultati ottenuti con il suo macchinario e da una semplice deduzione
logica: Morel è un materialista, l’unica cosa sulla quale fa affidamento
e nella quale crede è l’insieme di informazioni che provengono
dai suoi sensi, ovvero da ciò che lo pone in relazione con la realtà
fenomenica. I prodotti della sua invenzione sono, dal punto di vista dei
sensi, del tutto simili agli esseri umani veri e, osservandoli agire,
nessuno potrebbe affermare con certezza che non abbiano coscienza di sé. Tuttavia, nel loro piccolo spazio tridimensionale, essi sembrano relazionarsi
tra loro, dialogare e provare conseguenti emozioni. L’opinione di
Morel fa forza sul fatto che dalla nostra posizione esterna non possiamo
affermare che essi “vivono” (intendendo per vita tutto quel
complesso di fattori che designano la vita, il movimento, la crescita,
la capacità di emozionarsi, di pensare, di scegliere e così
via) ma nemmeno possiamo negarlo con certezza. Si può innanzitutto stabilire una sorta di proporzione matematica:
Dio sta al creato come Morel sta alla sua invenzione, una similitudine
che lo stesso inventore sottolinea con orgoglio nel suo promemoria. un’idea in cui egli crede e fornisce come pittoresca risposta alle
inquietudini esistenziali umane. Secondo lui esiste un parallelismo tra
il destino degli esseri umani e le tracce che essi lasciano negli apparecchi
di registrazioni il cui funzionamento implica uno svolgersi nel tempo: La nostra vita quindi sarebbe un entità contenuta in dischi divini,
che si concretizza non appena l’Essere trascendente decide di riprodurli
pigiando su un interruttore. Ancora una volta è questo minuscolo
ma essenziale congegno a stabilire la gerarchia tra gli esseri animati,
a trasformare ogni cosa in meccanismo acceso o spento. Ma ciò significa
anche che la vita di ogni creatura vivente si trova conservata in qualche
archivio divino e potrebbe essere riprodotta, se Dio lo volesse, infinite
volte. È in quel suo essere in potenza che Morel individua la chiave
(se non il segreto) dell’eternità. Poco più avanti il Protagonista chiarisce questo concetto: Il rovescio della medaglia è che Morel, per poter realizzare il
suo progetto di eternità, si è realmente sostituito alla
volontà divina ed ha optato per la morte dei suoi amici (e per
la sua). poi l’associa a dei timori atavici presenti in alcune culture nei
confronti delle immagini: ed infine deduce che, quando Morel afferma si riferisce precisamente a questo genere di effetti. Essi dimenticheranno
la escena fastidiosa, perché moriranno. Ma allo stesso tempo lo pone di fronte ad una strada senza uscita: La soluzione gli deriva dallo stesso Morel e da ciò che offre
il suo macchinario. Il Protagonista, tutto sommato, dimostra di possedere
una certa affinità di pensiero, o meglio, delle idee comuni a quelle
dell’inventore, quando, all’inizio del suo diario afferma L’invenzione di Morel, lo abbiamo visto, rappresenta un mezzo per
conservare la coscienza in potenza, rendendola, così, eterna ed
immortale; ecco allora che il “suicidio” del Protagonista
“prende senso” e per di più lo converte nel “primo
martire” dell’eretismo di Morel. Egli osserva quelle immagini
e poco a poco matura la sua stessa paradossale concezione di vita: Nel momento in cui egli cerca di spiegarsi la condotta di un uomo che
si arroga il diritto di stabilire se i suoi amici meritano di vivere la
vita che conducono: il Protagonista trova la soluzione del suo dramma: Morire deliberatamente alle condizioni proposte da Morel, dunque, rappresenterebbe
una sorta di investimento in cui non si ha nulla da perdere (un ragionamento
che ricorda vagamente la famosa scommessa di Pascal sull’esistenza
di Dio). Ciò che più conta per il Protagonista (l’amore
per Faustine, a discapito della sua stessa vita) in un modo o nell’altro
risulta letteralmente immortalato dal macchinario. A questo si aggiunga
una fiducia nel progresso tecnologico che perpetui l’approccio alla
scienza inaugurato da Morel, che il Protagonista manifesta attraverso
le parole che chiudono il suo resoconto:
Nel presentare la sua invenzione, Morel, fin dalle prime battute, stabilisce
una paragone tra ciò che risulta essere la macchina nel suo complesso
e ciò che è il Teatro: Quando Bioy Casares descrive il funzionamento del macchinario e formula
la suggestiva idea della vita che attende di essere rappresentata ad un
comando del divino inventore, riprende l’idea del Gran teatro del
mundo di Calderón e la rinnova con dei prodotti tipici dell’immaginario
della nostra epoca. Non più canovacci di commedie recitate a soggetto
ma dischi eterni e indistruttibili che proiettano immagini tridimensionali
e riproducono suoni perfettamente sincronizzati. Non più un Dio
che assegna le parti, ma un inventore che progetta un macchinario in modo
che registri di nascosto la vita quotidiana e la riproduca autonomamente
ed automaticamente. Il macchinario trasforma gli esseri umani in personaggi che interpretano
se stessi, alla stregua di una sceneggiatura teatrale… o di un diario!
Rispetto alla memoria umana, diario e macchinario non modificano i loro
dati in base all’esperienza, essi mostrano un’evoluzione ma
non evolvono, rimangono sempre uguali a loro stessi, o meglio sempre uguali
al momento in cui sono stati registrati. Per cui ogni volta che il disco
eterno verrà riprodotto le sue immagini vivranno come fosse la
prima volta; ogni volta che il diario del protagonista verrà letto,
egli vivrà la sua storia come fosse la prima volta. Inoltre il buco da cui è entrato non c’è più
e il muro, finché i motori sono accesi, è indistruttibile: Questa particolarità mi riconduce ad un argomento a cui ho già
accennato in precedenza, cioè l’autonomia dell’opera
d’arte e la sua funzione metartistica. Il mondo creato da Morel,
agli occhi del Protagonista, non è rappresentato da qualcuno o
da qualcosa, bensì presenta se stesso. L’inventore, nel mettere
a punto il macchinario e forse nel cercare di trovarvi un’applicazione
interessante, si era imbattuto nella antico problema della mimesis e della
verosimiglianza: Per comprendere il dubbio di Morel ci può essere utile fare riferimento
ad alcune opere pittoriche di René Magritte (1898-1967) tese a
stimolare la riflessione sui meccanismi illusori che stanno alla base
di ogni rappresentazione. Si prenda come esempio la sua famosa negazione
Ceci n’est pas une pipe contenuta ne L’usage de la parole
I (1929 ca.): egli, disegnando una pipa e negando nella legenda che si
tratti di una pipa dimostra una volta per tutte che le regole che vigono
nella realtà fenomenica non vigono nella sua rappresentazione.
La pipa disegnata non è una pipa perché non presenta tutte
proprietà della pipa vera (è bidimensionale, non può
essere fumata, è fatta di inchiostro e carta e non di legno ecc.). Morel ha creato un mondo che è, dal punto di vista dell’
apparenza, identico al nostro; superando il problema delle limitazioni
fisiche e visive implicite in qualunque mezzo artistico ha risolto il
problema principale della rappresentazione, creando una realtà
(l’isola, i suoi turisti, i vegetali, gli animali e gli edifici
così com’erano in quella settimana del 1924) che presenta
se stessa. La macchina, complice lo scorrere del tempo, ha ritagliato
tale realtà dal suo contesto e ciò ha fatto sì che
essa sia unica e che non possa essere nient’altro che quello che
è (come i ready-mades di Duchamp). …cosa sarebbe accaduto? Se Morel avesse registrato il complesso dei motori in funzionamento, avrebbe certamente creato una situazione paradossale, per la quale, se l’isola vera, per una qualche ragione fosse scomparsa, la macchina indistruttibile avrebbe continuato a proiettarla nello stesso luogo, per l’eternità. Le soluzioni “avveniristiche” di Bioy Casares. F. Menna, a questo proposito, definisce l’invenzione di Morel come
un trompe-l’oeil totale, inseribile in quella categoria di opere
d’arte che impiegano i mezzi dell’illusione per far riflettere
gli spettatori sui meccanismi delle apparenze. ovvero, non sono manipolabili. Com’è possibile che Morel non si sia accorto che non si
può interagire con le immagini prodotte dalla macchina? Come può
sostenere che esse possiedano una coscienza? Se potessimo accedere all’isola di Morel, i suoi misteriosi abitanti
e le cose proiettate dal macchinario ci apparirebbero come quelle sculture
iperrealiste realizzate venti o addirittura trent’anni dopo la pubblicazione
del racconto. John de Andrea e Duane Hanson negli anni Settanta crearono delle sculture
in poliestere dipinto, dei “manichini” (Fig. 14) in grandezza
naturale che sembrano autentici esseri umani (nudi e vestiti) impegnati
in atteggiamenti banali e quotidiani (una donna seduta su una sedia, un
uomo che legge il giornale, una coppia di turisti che sembrano attendere
in coda il loro turno di visita, un’altra coppia coi sacchetti della
spesa che sembra assorta ad una fermata dell’autobus…). Come i manichini di De Andrea e di Hanson, le immagini di Morel da un
lato toccano i vertici di possibilità del vero-più-vero-del-vero,
dall’altro pongono lo spettatore/lettore (come hanno già
posto lo stesso Morel e il Protagonista) di fronte all’inquietante
interrogativo: appartengono al dominio del reale o dell’illusione?
Sono vive o no? Ma Bioy Casares spinge questa idea oltre, fino alle sue ultime conseguenze,
giungendo a concepire una sorta di realtà virtuale ante litteram
e a toccare i problemi pratici e filosofici ad essa connessa. (J.Isdale
specifica che: Già l’isola proiettata può essere quasi considerata
ciò che in termini tecnici si chiama rappresentazione integrale,
ovvero una L’interazione tra il Protagonista e le proiezioni è impossibile:
abbiamo visto che le tende non si spostano, i muri non possono essere
abbattuti, le luci non si possono accendere o spegnere. Ciò non
gli impedisce però di ricrearla in maniera fittizia (attraverso
una sorta di “videomontaggio”): Ma se facciamo un salto fino ai giorni nostri scopriamo che la situazione
non cambia. (Sembra di leggere un brano di commento al racconto di Casares). L’impressione
di essere immersi in una realtà vera quanto la nostra è
data da una serie di oggetti che ingannano i nostri sensi, videocaschi
(Head Mounted Screen), guanti (Data Glove), tute (Data Suit) e che sono
connessi ad un potente elaboratore. Esistono perfino degli esoscheletri
(aste rigide ed articolate poste intorno al corpo e mosse da questo) che
vibrano al momento dell’incontro con gli oggetti virtuali per dare
la sensazione del contatto. Il tutto è estremamente stupefacente,
ma...una mela virtuale non si può comunque mangiare!
Abbiamo visto che quando il Protagonista decide di tenere il resoconto
compie un’azione analoga a quando Morel accende i ricettori della
macchina e registra gli avvenimenti, le persone, gli animali e gli oggetti
sul disco eterno. Diario e macchinario abbracciano un periodo limitato
di tempo (dal giorno dell’apparizione degli misteriosi abitanti
dell’isola alle ultime ore di vita del Protagonista; la settimana
di vacanza di Morel) anche se la narrazione deborda questi limiti (il
Protagonista accenna alle vicende che l’hanno spinto a raggiungere
l’isola; Morel della nascita del macchinario e dei primi esperimenti).
In entrambi inoltre si coglie una sorta di ossessione per la registrazione
dei fatti obbiettiva, protetta da ogni possibile intromissione emotiva
proveniente…dal futuro. Il contesto in cui viene pronunciata questa frase non è perfettamente
chiaro. Il Protagonista si è avvicinato “di nascosto”
ai due per ascoltare cosa si dicono ma si è perso i preamboli del
dialogo e non sa a cosa essi facciano riferimento; riesce solo a capire
che Morel ha perso la fiducia di Faustine, ma non si rassegna e le chiede: Forse Faustine ha sorpreso Morel con un’altra donna ed ha dedotto
che si è trattato di un tradimento; ma questo poco importa. Conta
invece che reputa i sentimenti maturati in tale esperienza come indelebili
ed è certa che essi abbiano compromesso definitivamente ogni evento
accaduto nel passato (o meglio, il ricordo che Faustine ha di esso) legato
a questo episodio. La memoria del Protagonista, invece, non può godere di questo
privilegio, la sua opinione su ciò che accade nell’isola
viene continuamente modificata da nuove informazioni, dai dati che raccoglie
mentre cerca di risolvere il mistero di Faustine e dei suoi amici; le
sue pagine dichiarano costantemente lo scarto che c’è tra
passato, presente e futuro, un’evidenza che gli fa sentire il peso
dell’incertezza, dell’impossibilità di una definizione
assoluta, di una mancanza di controllo totale sulla realtà che
lo circonda e che crede di conoscere. Il diario rappresenta un tentativo di congelare ed eternare le emozioni
e i pensieri: Molte volte infatti il Protagonista si osserva nel momento del disinganno,
del rendersi conto che le cose non erano così come sembravano:
Egli allora, nelle pagine a seguire si impegna a correggere gli errori
commessi ed il lettore può seguire l’evoluzione dei suoi
pensieri: Altre volte però la registrazione giunge tardi, a cambio d’opinione
avvenuta e la sensazione per il lettore è che la genuinità
del racconto sia inevitabilmente compromessa e che la sorpresa provocata
dagli eventi sia artificialmente ricostruita: Ciò che mi preme notare, tuttavia, è proprio questo continuo
cambio di opinione su una realtà che per definizione è assoluta
ed immutabile: da questo punto di vista il resoconto del Protagonista
può essere considerato una registrazione dettagliata dell’interpretazione
paranoico-critica della realtà (fenomenica ed artistica) postulata
da Dalí. Poco a poco, però la presenza di quella donna diventa quasi necessaria,
un sollievo alla sua solitudine: Finché, nella serenità di quel volto, intravede una possibilità
di aiuto o un conforto che si trasforma ben presto in un’attrazione
amorosa difficile da controllare. Per lei decide di commettere l’imprudenza
di uscire allo scoperto: l’approccio premeditato va a monte e la
reazione della donna lo spiazza: Nemmeno quando trova il coraggio di avvicinarsi a lei e di rivolgerle
la parola: Teme che la donna sia andata ad allarmare i suoi amici e rassegnato,
il giorno seguente, si fa trovare nello stesso luogo; la donna ripete
i gesti consueti e si siede al suo fianco: Il Protagonista non demorde e tenta un approccio romantico ma un po’
pacchiano: compone un disegno fatto di fiori e foglie ai piedi della roccia
dove ogni sera avviene il loro incontro. Lei giunge come tutte le sere: Il giorno seguente la donna ritorna ma poco dopo la raggiunge un uomo
barbuto (Morel) che mentre discute con lei, calpesta e distrugge l’aiuola: Il Protagonista, offeso e mortificato decide di non vedere più,
ma non resiste a lungo e quando ritorna tra le rocce scopre che Faustine
e Morel ripetono le stesse identiche cose e rifanno gli stessi identici
gesti: Non insisto con le citazioni; queste sono già sufficienti per
notare come quella semplice contemplazione del tramonto possa colorarsi
di infiniti significati e provocare reazioni sempre nuove, a seconda dello
stato d’animo di chi osserva la scena: timore, fastidio, curiosità,
sfida, interesse, provocazione, delusione, perplessità e così
via.
A conclusione della mia ricerca desidero riportare la mia esperienza
personale, maturata in occasione della realizzazione e della rappresentazione
di una performance di danza e video che ruota intorno alla tematica dello
spaesamento indotto dalla presenza e dall’utilizzo dei mezzi informatici.
Ho ideato la performance assieme ad Antonio Giacomin (il quale ha curato
la parte video) e l’ho interpretata assieme a Fabrizio Zamero; l’ambientazione
sonora è stata curata dal gruppo di musica elettronica Pop Toxique.
mØr3L ha debuttato il 30 novembre 2004 presso il Teatro Miela Reina
di Trieste. Sensazioni personali e reazioni del pubblico. Lo spettacolo, come dicevo, mi ha permesso di rivivere e far rivivere
quelle problematiche che ho analizzato nel corso della mia ricerca. Note.
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