(CANTO QUARANTATREESIMO)
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(...) Quivi a grande agio riposato giacque,
mentre il corso del fiume il legno prese,
che da sei remi spinto, lieve e snello
pel fiume andò, come per l'aria augello.
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Così tosto come ebbe il capo chino,
il cavallier di Francia adormentosse;
imposto avendo già, come vicino
giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
Restò Melara nel lito mancino;
nel lito destro Sermide restosse:
Figarolo e Stellata il legno passa,
ove le corna il Po iracondo abbassa.
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De le due corna il nocchier prese il destro,
e lasciò andar verso Vinegia il manco;
passò il Bondeno: e già il color cilestro
si vedea in oriente venir manco,
che votando di fior tutto il canestro,
l'Aurora vi facea vermiglio e bianco;
quando, lontan scoprendo di Tealdo
ambe le rocche, il capo alzò Rinaldo.
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- O città bene aventurosa (disse),
di cui già Malagigi, il mio cugino,
contemplando le stelle erranti e fisse,
e costringendo alcun spirto indovino,
nei secoli futuri mi predisse
(già ch'io facea con lui questo camino)
ch'ancor la gloria tua salirà tanto,
ch'avrai di tutta Italia il pregio e 'l vanto. -
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Così dicendo, e pur tuttavia in fretta
su quel battel che parea aver le penne,
scorrendo il re de' fiumi, all'isoletta
ch'alla cittade è più propinqua, venne:
e ben che fosse allora erma e negletta,
pur s'allegrò di rivederla, e fenne
non poca festa; che sapea quanto ella,
volgendo gli anni, saria ornata e bella.
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Altra fiata che fe' questa via,
udì da Malagigi, il qual seco era,
che settecento volte che si sia
girata col monton la quarta sfera,
questa la più ioconda isola fia
di quante cinga mar, stagno o riviera;
sì che, veduta lei, non sarà ch'oda
dar più alla patria di Nausicaa loda.
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Udì che di bei tetti posta inante
sarebbe a quella sì a Tiberio cara;
che cederian l'Esperide alle piante
ch'avria il bel loco, d'ogni sorte rara;
che tante spezie d'animali, quante
vi fien, né in mandra Circe ebbe né in hara;
che v'avria con le Grazie e con Cupido
Venere stanza, e non più in Cipro o in Gnido:
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e che sarebbe tal per studio e cura
di chi al sapere ed al potere unita
la voglia avendo, d'argini e di mura
avria sì ancor la sua città munita,
che contra tutto il mondo star sicura
potria, senza chiamar di fuori aita:
e che d'Ercol figliuol, d'Ercol sarebbe
padre il signor che questo e quel far debbe.
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Così venìa Rinaldo ricordando
quel che già il suo cugin detto gli avea,
de le future cose divinando,
che spesso conferir seco solea.
E tuttavia l'umil città mirando:
- Come esser può ch'ancor (seco dicea)
debban così fiorir queste paludi
de tutti i liberali e degni studi?
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e crescer abbia di sì piccol borgo
ampla cittade e di sì gran bellezza?
e ciò ch'intorno è tutto stagno e gorgo,
sien lieti e pieni campi di ricchezza?
Città, sin ora a riverire assorgo
l'amor, la cortesia, la gentilezza
de' tuoi signori, e gli onorati pregi
dei cavallier, dei cittadini egregi.
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L'ineffabil bontà del Redentore,
de' tuoi principi il senno e la iustizia,
sempre con pace, sempre con amore
ti tenga in abondanza ed in letizia;
e ti difenda contra ogni furore
de' tuoi nimici, e scuopra lor malizia:
del tuo contento ogni vicino arrabbi,
più tosto che tu invidia ad alcuno abbi. -
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Mentre Rinaldo così parla, fende
con tanta fretta il suttil legno l'onde,
che con maggiore a logoro non scende
falcon ch'al grido del padron risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Georgio a dietro, a dietro s'allontana
la torre e de la Fossa e di Gaibana.
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Rinaldo, come accade ch'un pensiero
un altro dietro, e quello un altro mena,
si venne a ricordar del cavalliero
nel cui palagio fu la sera a cena;
che per questa cittade, a dire il vero,
avea giusta cagion di stare in pena:
e ricordossi del vaso da bere,
che mostra altrui l'error de la mogliere;
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e ricordossi insieme de la prova
che d'aver fatta il cavallier narrolli;
che di quanti avea esperti, uomo non trova
che bea nel vaso, e 'l petto non s'immolli.
Or si pente, or tra sé dice: - È mi giova
ch'a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo, accertava il creder mio;
non riuscendo, a che partito era io?
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Gli è questo creder mio, come io l'avessi
ben certo, e poco accrescer lo potrei:
sì che, s'al paragon mi succedessi,
poco il meglio saria ch'io ne trarrei;
ma non già poco il mal, quando vedessi
quel di Clarice mia, ch'io non vorrei.
Metter saria mille contra uno a giuoco;
che perder si può molto, e acquistar poco. -
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Stando in questo pensoso il cavalliero
di Chiaramonte, e non alzando il viso,
con molta attenzion fu da un nocchiero
che gli era incontra, riguardato fiso:
e perché di veder tutto il pensiero
che l'occupava tanto, gli fu aviso,
come uom che ben parlava ed avea ardire,
a seco ragionar lo fece uscire.
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La somma fu del lor ragionamento,
che colui malaccorto era ben stato,
che ne la moglie sua l'esperimento
maggior che può far donna, avea tentato;
che quella che da l'oro e da l'argento
difende il cor di pudicizia armato,
tra mille spade via più facilmente
difenderallo, e in mezzo al fuoco ardente.
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Il nocchler suggiungea: - Ben gli dicesti,
che non dovea offerirle sì gran doni;
che contrastare a questi assalti e a questi
colpi non sono tutti i petti buoni.
Non so se d'una giovane intendesti
(ch'esser pò che tra voi se ne ragioni),
che nel medesmo error vide il consorte,
di ch'esso avea lei condannata a morte.
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Dovea in memoria avere il signor mio,
che l'oro e 'l premio ogni durezza inchina;
ma, quando bisognò, l'ebbe in oblio,
ed ei si procacciò la sua ruina.
Così sapea lo esempio egli, com'io,
che fu in questa città di qui vicina,
sua patria e mia, che 'l lago e la palude
del rifrenato Menzo intorno chiude:
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d'Adonio voglio dir, che 'l ricco dono
fe' alla moglie del giudice, d'un cane. -
- Di questo (disse il paladino) il suono
non passa l'Alpe, e qui tra voi rimane;
perché né in Francia, né dove ito sono,
parlar n'udi' ne le contrade estrane:
sì che dì pur, se non t'incresce il dire;
che volentieri io mi t'acconcio a udire. -
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