(CANTO DICIASSETTESIMO)

119
Presso alla porta ove Grifon venìa,
siede a sinistra un splendido castello,
che, più che forte e ch'a guerre atto sia,
di ricche stanze è accommodato e bello.
I re, i signori, i primi di Soria
con alte donne in un gentil drappello
celebravano quivi in loggia amena
la real sontuosa e lieta cena.

120
La bella loggia sopra 'l muro usciva
con l'alta rocca fuor de la cittade;
e lungo tratto di lontan scopriva
i larghi campi e le diverse strade.
Or che Grifon verso la porta arriva
con quell'arme d'obbrobrio e di viltade,
fu con non troppa aventurosa sorte
dal re veduto e da tutta la corte:

121
e riputato quel di ch'avea insegna,
mosse le donne e i cavallieri a riso.
Il vil Martano, come quel che regna
in gran favor, dopo 'l re è 'l primo assiso,
e presso a lui la donna di sé degna;
dai quali Norandin con lieto viso
volse saper chi fosse quel codardo
che così avea al suo onor poco riguardo;

122
che dopo una sì trista e brutta pruova,
con tanta fronte or gli tornava inante.
Dicea: - Questa mi par cosa assai nuova,
ch'essendo voi guerrier degno e prestante,
costui compagno abbiate, che non truova,
di viltà, pari in terra di Levante.
Il fate forse per mostrar maggiore,
per tal contrario, il vostro alto valore.

123
Ma ben vi giuro per gli eterni dei,
che se non fosse ch'io riguardo a vui,
la publica ignominia gli farei,
ch'io soglio fare agli altri pari a lui.
Perpetua ricordanza gli darei,
come ognor di viltà nimico fui.
Ma sappia, s'impunito se ne parte,
grado a voi che 'l menaste in questa parte. -

124
Colui che fu de tutti i vizi il vaso,
rispose: - Alto signor, dir non sapria
chi sia costui; ch'io l'ho trovato a caso,
venendo d'Antiochia, in su la via.
ll suo smnbiante m'avea persuaso
che fosse degno di mia compagnia;
ch'intesa non n'avea pruova né vista,
se non quella che fece oggi assai trista.

125
La qual mi spiacque sì, che restò poco,
che per punir l'estrema sua viltade,
non gli facessi allora allora un gioco,
che non toccasse più lance né spade:
ma ebbi, più ch'a lui, rispetto al loco,
e riverenza a vostra maestade.
Né per me voglio che gli sia guadagno
l'essermi stato un giorno o dua compagno:

126
di che contaminato anco esser parme;
e sopra il cor mi sarà eterno peso,
se, con vergogna del mestier de l'arme,
io lo vedrò da noi partire illeso:
e meglio che lasciarlo, satisfarme
potrete, se sarà d'un merlo impeso;
e fia lodevol opra e signorile,
perch'el sia esempio e specchio ad ogni vile. -

127
Al detto suo Martano Orrigille have,
senza accennar, confermatrice presta.
- Non son (rispose il re) l'opre sì prave,
ch'al mio parer v'abbia d'andar la testa.
Voglio per pena del peccato grave,
che sol rinuovi al populo la festa. -
E tosto a un suo baron, che fe' venire,
impose quanto avesse ad esequire.